venerdì 28 settembre 2012

L'alcool che uccide





Modestine è distrutta dall’alcool e sta buttando all’aria tutto. Marito, figli, casa. Non si tiene più. Ormai l’hargi, l’alcool distillato le ha preso la testa e domenica notte ha sfondato la porta della capanna di suo marito Robert. Lui  non ce la fa più e la sera si rifugia all’ospedale dove vende le medicine. Tornare a casa è per lui l’inferno. Lei gli ha preso il coltello e ora Robert teme il peggio. Dopo 35 anni di vita coniugale ormai sono alla frutta. Tutto è cominciato con qualche calebasse (tazza) di bili bili, la bevanda tradizionale fatta di miglio fermentato. Poi il tutto in crescendo, fino ad esplodere nella disperazione.

La gente non si tiene. L’alcool sta rovinando intere famiglie. Ci sono persone che alle 5 del mattino, al levare del sole, sono già al cabaret a scaravoltare i bicchieri. Fino a sera, finche ce n’é. Devastati, si sdraiano per terra, danzano e cantano per trovare qualche altra moneta e continuare il gioco, corrono dietro a qualche donna e all’Aids dilagante. Lasciano i figli per strada senza preoccuparsi, neanche la notte. Tutto il loro mondo gira attorno al pentolone sotto l’albero. Affogano pensieri, speranze, famiglie e attese dell’Africa. Diventa impossibile lavorare la terra, pescare e restare in armonia a casa. C’è chi dorme perfino al cabaret, in preda al delirio. 

Non esiste il limite e l’ultimo bicchiere diventa presto il primo di una nuova serie. Come il papà di Mathieu che, rovinato dall’alcool avrebbe ammesso di aver ammazzato due anni prima un concittadino. La reazione della gente non si è fatta attendere e hanno cercato di farlo fuori. L’autorità tradizionale ha dovuto invitarlo, per precauzione, a lasciare Moissala. Così Mathieu in lacrime è venuto a raccontarmi e il povero papà deve scontare i suoi ultimi giorni lontano dalla sua terra. Dolori che si accumulano, bicchieri che crescono. Il nostro grido contro la piaga dell’alcool sembra una battaglia persa. Le istituzioni non fanno niente, anzi godono felici perché bere è non pensare, devastarsi con l’alcool è non protestare o creare problemi al sistema di ingiustizia strutturale.

L’alcool sta uccidendo l’Africa. Tempo addietro era i fine settimana. Ora è diventato tutti i giorni. Siamo al quasi tutte le ore…l’Africa affoga, il mondo se ne frega. Qualcuno dietro al Galileo prova ostinato e controcorrente a continuare a proporre il cambio radicale. Le sconfitte sono toste e fanno malissimo. Ma la speranza e il sogno restano alti. Un po’ come la resurrezione dentro la morte…

lunedì 24 settembre 2012

Tempo di raccolto



E’ grande festa nei campi attorno a Moissala. I contadini cantano di
gioia al raccolto di mais e arachidi. La fame è scongiurata
quest’anno, anche se le piogge troppo abbondanti  minacciano il miglio
e quanto resta della speranza. Le famiglia si organizzano: chi nei
campi che raccoglie, chi fa la guardia la notte sui covoni con stuoia
e coperta, chi con le carrette e i buoi trasporta i sacchi a casa o al
mercato dove è un esplodere di movimenti, urla, sacchi, biciclette,
gente dappertutto.

Grandi teloni vengono sdraiati in ogni angolo delle case e del mercato
per fare seccare le arachidi e il miglio bianco, in modo da poterlo
poi mettere in magazzino. Gli arabi, abilissimi nel commercio, si
danno da fare come matti per acquistare e rivendere. E’ il lavoro dei
“Musso”, di coloro che non perdono l’occasione per fare affari.
Solidarissimi tra di loro, si aiutano a vicenda e fregano i nostri
contadini, incapaci di organizzarsi in gruppi e cooperative. Così
facendo i poveri vendono un sacco alla volta e non hanno potere
contrattuale. Li frega la gelosia e se possono si fanno le scarpe gli
uni con gli altri. La “guerra dei poveri” insomma. Quante volte ho
chiesto alla nostra gente: “Perche non ci organizziamo e lavoriamo
insieme come una cooperativa di produzione e commercializzazione?”. La
risposta è sempre la stessa: “ Se facciamo così c’è sempre qualcuno
che vuol fare il furbo, che frega gli altri e si mangia i soldi”. E
poi si chiamano tutti fratelli…purtroppo dalle nostre parti quello che
è di tutti finisce che non è di nessuno e allora qualcuno vuole
metterci le mani sopra. Ma vedo che non è molto diversa la frittata in
giro per il mondo…

Intanto le feste e le danze si moltiplicano nei campi la sera. Al
suono dei tamburi si balla sul raccolto. Le piroghe attraversano il
fiume cariche di sacchi che arrivano dai villaggi. Al mercato tutti
sgranocchiano arachidi fresche e pannocchie di mais ben rosolate al
fuoco. Ma l’incubo-allevatori è alle porte. I buoi dei nomadi sono
tutti attorno che minacciano di entrare e rendere vano lo sforzo di un
anno intero di lavoro. A Dakou ho visto con i miei occhi pochi giorni
fa le mandrie entrare tranquillamente a mangiare cotone, fagioli e
miglio. Il clima resta comunque teso dappertutto. Anche a Silambi, nel
nostro Centro di Formazione dei leaders delle comunità cristiane di
base, si avvicina il raccolto. E la notte i nostri uomini girano per i
campi con le torce per difendere i campi.

Il sonno è poco, la gioia è tanta e la paura dietro la porta. Si
tratta ancora e sempre di sopravvivenza. Basta un niente e si è già
nell’urgenza. Una malattia, la morte di un familiare, un campo
devastato, troppa pioggia, un infortunio sul lavoro, una casa che
crolla sotto l’acqua e il vento e tutto va a rotoli. La vita procede
tosta come sempre. E come sempre si vive attimo per attimo,
ringraziando, oggi, di esserci. Domani è sempre un lusso…

venerdì 21 settembre 2012

Gesù di Nazaret tra i contadini





Più mi addentro nel personaggio Gesù di Nazaret e più mi rendo conto
che il suo ambiente e la sua gente sono così vicini alla nostra realtà
in fondo al Ciad. Campi da arare con i buoi e coltivare a mano,
allevamento di capre e mucche, pesca. Qualche funzionario e la vita
che ruota attorno al villaggio. La gente che si sposta a piedi o sulle
carrette trainate dai buoi.

I nostri contadini a Silambi, in formazione per diventare leaders
delle comunità cristiane di base, colgono subito il nocciolo del
Vangelo. Le parabole di Gesù parlano dritte al loro cuori e alla loro
realtà. Chi meglio di loro conosce i segreti della semina, del chicco
che si trasforma in pianta, del pascolare capre e mucche, del pescare
con le reti nel fiume? Chi meglio delle nostre donne conosce il
segreto del lievito nella farina che usano ogni giorno per preparare
la polenta?

Non hanno bisogno di tante spiegazioni, perché a loro, ai piccoli,
insignificanti della storia, sono state rivelate queste cose. Così Dio
continua a spiazzarci…non ai benpensanti, ai primi della classe, ai
potenti del mondo. Dio continua a fare conoscere le meraviglie della
sua presenza agli ultimi, i disprezzati. Basta aprire orecchie, occhi,
mani e cuori.
Io racconto loro la Buona Notizia di Gesù e loro me ne parlano con la
loro vita. Io ho delle parole e loro dei fatti. Parlano le loro mani e
i loro volti sfigurati dal sole e dal duro lavoro dei campi. Parla la
gioia di sentire Gesù di Nazaret uno di loro. Uno che sa cosa vuol
dire la vita dura e ne denuncia le ingiustizie strutturali.

Come mai il petrolio abbondante in Ciad non ha ripercussioni sulle
loro vite? Come mai potenti uomini d’affari vengono a portare via le
terre promettendo qualche soldo e privilegio? Oggi si scaglierebbe
Gesù contro le ipocrisie e i soprusi del sistema che abbiamo messo in
piedi e che affama la terra. Ecco perché, mentre nel mondo sazio non
attira quasi più niente qui, nei bassifondi del mondo, Gesù di Nazaret
è fonte di speranza e di vita. Porta ancora una Buona Novella di
resurrezione e di svolta. Non un illusione ma qualcosa che si tocca
con mano a partire dall’impegno per la giustizia e la verità.

Chi ha lo stomaco vuoto lo accoglie con rinnovato entusiasmo. Per
riempire pancia e speranza. E Lui continua a farsi pane spezzato…

lunedì 17 settembre 2012

Semplicemente vivere


Tre storie di vita al limite del possibile. Tre tra le tantissime a
Moissala. Da raccontare.

Yves, bibliotecario al Centro culturale “Carrefour dei Giovani” a
Moissala, zoppica da una vita. Da piccolo la poliomelite gli ha
regalato una gamba più corta. I suoi 25 anni sono tutti un trascinarsi
e la schiena a pezzi. Non si è mai arreso. Ha fatto la consultazione
con l’equipe “Lo nja tar” del Centro disabili a Moissala ed è partito.
Senza un soldo in tasca, si è sparato 80 km con una bicicletta senza
freni e un manubrio che ti chiedi come fa a stare in piedi. Sotto
l’acqua, dentro il fango. Poi il bus per arrivare a Doba e infine un
passaggio sul nostro Toyota per raggiungere Moundou, dove costruiscono
i rialzi per le scarpe. Gli amici italiani del Gruppo Mission gli
regalano la speranza. Resta 3 giorni in città, mangia le arachidi dei
primi raccolti e non sapendo dove dormire si rifugia all’ospedale
superaffollato spacciandosi per ammalato. Cosa non si fa per vivere!!

Pauline arriva in lacrime dopo la messa a Moissala. Lei, che da una
vita, si occupa dell’accoglienza nella comunità cristiana. La notte
prima i ladri sono entrati in casa e hanno rubato tutto, cioè il
niente che ha. Pentole, pochi vestiti, due capretti e galline. Le è
rimasto solo un maiale e mi ha chiesto di comprarlo per potersi
acquistare un po’ di farina e legumi. Non ho esitato e neanche fatto
il prezzo (come al solito si tira!). Preso il maiale e via…che la
speranza riparte!

Fadil, catechista nel centro di Silambi, si avvicina un giorno e
guardando in basso mi dice che non ha più niente da dare ei suoi figli
per mangiare. In mano ha un gallo e mi chiede di comprarlo. Accetto e
gli do qualche soldo. Si accende il sorriso e scatta al mercato per
acquistare la farina.

La nostra gente non ha tanto da comprare: né azioni, né computer, né
superfluo (che in lingua Mbay non esiste come vocabolo!). Ma ha tutto
da vendere, soprattutto speranza…

venerdì 14 settembre 2012

Spostare il centro del mondo!



Sulle orme di Toumai per riprendere coscienza della propria storia

E’ il sogno di Joseph Ki-Zerbo, burkinabé e padre della storiografia
africana. Il primo africano ad aver scritto una storia del suo
continente per riprendere in mano la memoria, la coscienza e la
dignità del popolo nero. Soprattutto il posto dell’Africa nel mondo.
Classificata sempre tra gli ultimi la “perla nera” chiede il diritto
di esistere a testa alta. “O sei vivo e sei fiero o sei morto”
ripeteva spesso Steve Biko, leader del Movimento per la coscienza dei
neri in Sudafrica.

Il centro delle nostre notizie sono sempre i grandi e potenti del
mondo. Se c’è un elezione negli Stati Uniti (a novembre!) se ne
comincia a parlare un anno prima. Se invece si tratta dell’Angola (2
settimane fa) nessuno ne parla e nessuno sa! Se arriva un uragano in
America (del Nord ovvio!) la notizia e le immagini finiscono su tutti
i giornali. Se avviene invece un’alluvione in Senegal (in agosto 13
morti) tutto tace. Ecco perché Ki-Zerbo e con lui tanti africani
vogliono ribaltare il mondo e incrinare quella visione eurocentrica o
americano centrica che mette il mondo occidentale sempre per primo.
Anche Dio, quello di Gesù di Nazaret e degli impoveriti della terra,
si muove sulla lunghezza d’onda degli africani che vogliono spostare
il centro della storia, perché non accetta che ci siano mondi primi,
secondi o terzi. Visto che il suo centro sono gli ultimi, gli
scartati, gli insignificanti agli occhi della finanza e dell’economia
mondiali. Perché non consumano, non hanno azioni, non producono
ricchezza.

Ki-Zerbo racconta il suo sogno con precisione nel libro “Punti fermi
sull’Africa” (Edizioni EMI 2011). Ricorda come “in principio fu
l’Africa”, la culla dell’umanità, visto che nel 2003 è stato scoperto
in Ciad il più antico australopiteco, risalente a sette milioni di
anni fa. Questa ripresa delle origini deve accompagnare l’Africa a
prendere coscienza del suo posto nella storia, liberandosi da quella
posizione servile e marginale in cui è stata relegata. La tratta dei
neri, il colonialismo hanno lasciato ferite profondissime che ancora
scavano e fanno male dentro il cuore degli africani: “Prelevare dai
trenta ai cento milioni dei migliori figli e figlie di un continente
come carne grezza per quattro secoli lascia ovviamente tracce,
cicatrici permanenti non solo nella dimensione dell’avere ma anche
dell’essere”. Fattori talmente crudeli da determinare una
decelerazione e decostruzione tremende della identità africana. Resta
soltanto oggi una strada da percorrere per rimettersi in piedi:
“sciogliere dalle catene le coscienze e gli inconsci”.

L’Africa deve risalire alle fonti, ripercorrere la sua storia fatta
anche di lumi e speranze, come l’antenato Egitto, locomotiva della
storia e precursore della scrittura, dell’arte e delle costruzioni
(piramidi), i grandi Regni pre-coloniali di Ghana, Mali e Gao che non
avevano niente da invidiare alle civiltà medievali europee, la civiltà
araba del Nordafrica che ha fatto del commercio, dei mezzi di
trasporto e dell’arte un fiore all’occhiello del continente.
Rivisitare la storia con la passione di superarla è rinascere!

Parola di Ki-Zerbo. Buon cammino, dentro la tua storia,  e buona
resurrezione, Africa!

lunedì 10 settembre 2012

In foresta, la notte



Sabato pomeriggio, ore 16. Partiamo da Moissala con Robert, uno dei
responsabili della comunità cristiana, per raggiungere il villaggio di
Sanodjo, dove la gente ci attende tra danze e canti. Si sono
risvegliati, hanno costruito una bella capanna che è diventata il
centro di ritrovo e di preghiera della comunità. Celebriamo insieme
l’Eucarestia e la gioia di rimettersi in piedi, dopo anni di cadute e
fatiche.

Il tempo di mangiare insieme polenta e pesce, di invitare Didier ad
accompagnarci e via verso il villaggio di Koudoti, a 30 chilometri.
Intanto però è calata la notte e non è prudente mettersi in viaggio,
anche perché i nuvoloni e i lampi si avvicinano. Ma ci proviamo. Dopo
pochi minuti la pioggia torrenziale ci prende in cammino, la strada
sterrata è completamente allagata, in certi tratti il Toyota sembra
non farcela. Ostinati andiamo avanti. Quasi non si vede la strada e
l’acqua ci entra dentro anche perché i finestrini vanno abbassati un
po’ per non far appannare i vetri.

Passato il villaggio di Dakou, il motore comincia a dare brutti
segnali. Un rumore fortissimo nelle turbine, il fumo che sale. Non ci
resta che fermarci, in piena notte, in foresta. Quella che in stagione
secca è savana si trasforma in un crescendo di vegetazione in stagione
delle piogge. Non si riconoscono quasi villaggi e strade, talmente le
erbe e le piante esplodono!

Non sappiamo che fare, stretti in tre dentro la cabina. Preghiamo e
cantiamo…poi la pioggia lentamente si allontana e, dopo qualche ora,
il motore sembra tornare alla normalità. Didier si fa a piedi il
tratto di strada che ci separa da Dakou. I nostri amici della comunità
cristiana ci preparano così l’alloggio di fortuna per passare la
notte. Riusciamo a riportare la macchina in salvo e dopo un the caldo
andiamo a letto. Il mattino è un fiorire di sole e di uccellini che
cantano i salmi della creazione. Ascoltiamo alla radio le notizie
dall’Africa: arriva alle nostre orecchie che l’ex dittatore ciadiano
Hissene Habré sarà giudicato in Senegal a fine anno. Finalmente! Erano
anni che la giustizia attendeva. E le famiglie delle vittime di 80.000
persone innocenti trucidate tra il 1982 e il 1990 esultano. I nostri
amici di Dakou ci raccontano delle loro fughe in foresta per sfuggire
al massacro e dei tanti giovani, accusati di essere ribelli, torturati
nelle prigioni, arruolati forzatamente nell’esercito regolare o fatti
sparire! Dura storia che lascia ancora il segno nel Ciad di oggi…

Riprendiamo il cammino. Il motore sembra asciutto e ci conduce a
destinazione. Anche stavolta, con l’aiuto di Dio e della nostra gente,
ce l’abbiamo fatta. La missione continua…

mercoledì 5 settembre 2012

A piedi scalzi… sulla terra d’Africa



Questa è terra sacra, perché i poveri sono il vero volto di Dio. “ Ero
io…”quando hai fatto qualcosa all’affamato, all’assetato, al nudo, al
carcerato, all’ammalato, allo straniero. Il Vangelo di Matteo al
capitolo 25 parla chiaro! Quindi per camminarci con impegno e passione
bisogna togliersi le scarpe. Come Mosé di fronte al roverto che arde
(Es 3,2) senza consumarsi, cioè quella passione di Dio per l’umanità
che brucia dentro senza mai arrendersi. Piedi nudi per un contatto
tenero e rispettoso con il suolo. Quella terra da cui proveniamo (Gn
2) si sente finalmente a casa. E’ per questo che trovi donne in strada
che si sparano chilometri e chilometri a piedi nudi. E che attorno a
casa lasciano perdere le scarpe. La pelle diventa dura, cresce il
callo e i ditoni raccontano di storie sofferte e in lotta per la vita.
Ce le siamo tolte le scarpe a Silambi nel ritiro del Gruppo
Missionario. Di fronte alla Parola, terreno sacro, vanno tolte
barriere e scudi, altrimenti ci pensa lei, la Parola a mettere tutti a
nudo e contro il muro. Basta accoglierla, ascoltarla e meditarla. E
sei fritto! Ci è successo così con la storia di Mosé come raccontata
nel libro degli Atti degli Apostoli (At 7,20-39). Non tanto diversa
dalla nostra. Anzi ci siamo dentro fino al collo. Meditazione di
spessore vista la guida del grande uomo di Dio, Carlo Maria Martini.
Il suo spirito circola perfino qui in Africa, in fondo al Ciad. E
penso che continuerà a lungo perché soffia dove e come vuole. Carlo
propone, in un corso di Esercizi, il confronto con la vita di Mosé,
racchiusa in tre tappe scandite dai 40 anni: Mosé oggetto di speciale
provvidenza e sottoposto ad un educazione raffinata (At 7,20-22), il
tempo della generosità e dello scacco (At 7,23-29) e infine il momento
della scoperta dell’iniziativa di Dio nella sua e nostra vita (At
7,30-39).
Al momento della condivisione ognuno ha raccontato la storia della sua
vita fatta a tappe. Un po’ come Mosé. Chi è scappato dalla guerra, chi
è stato salvato da uno zio o un fratello più grande, chi poverissimo
ha sudato le pene dell’inferno per studiare, chi se ne è andato dalla
famiglia e ha fatto poi ritorno. Infine chi ha pianto tutto il tempo
senza proferire parola. Bloccato alla seconda tappa della vita di
Mosé: la fuga e la sconfitta. Dura la Parola…ma necessaria!
E’ viva più che mai, ci legge dentro, ci penetra fino al midollo, come
spada a doppio taglio (Eb 4,12). Ad ognuno parla secondo la sua
storia, sogni e cadute. Lasciando tutti a piedi nudi di fronte alla
verità. Quella che fa male, ma che davvero libera (Gv 8,32). Per
essere finalmente noi stessi.

sabato 1 settembre 2012

Arrivederci Carlo...uomo di Dio



  
Lettera a Carlo Maria Martini nel giorno della sua morte


Grazie Carlo di esserci con amore.
Non te ne sei andato, sei ancora con noi, con il tuo amore alla Parola, quella vera, quella di Dio. Nel marasma delle parole inutili tu hai scelto l’essenziale!
Hai rifiutato l’accanimento della medicina per continuare un esistenza che il Galileo ha rischiato in tutto e per tutto,  fino a perderla,  per amore della giustizia, del Regno e dei poveri. Quell’accanimento che troppo stride di fronte di fronte ad un Africa dove non si assicura neanche la vita alle piccole creature.
Ieri sera, alla notizia della tua morte, ho ringraziato il Padre di tutti per averci regalato un tipo come te, libero, coraggioso, dentro la Chiesa con ostinata speranza. Innamorato e appassionato del Vangelo e della comunità di Gesù, povera, radicalmente controcorrente, missionaria, schierata con gli ultimi.
Ho riletto prima di dormire alcune tue pagine proprio sull’esistenza pasquale, quella di Gesù di Nazaret e di tutti coloro che provano, con fatica e passione, a mettersi sulle sue tracce. Vita tosta, fatta di passione, morte e resurrezione. E di una vita che vince sempre, anche oltre la morte. Narravi come tutta la nostra esistenza sia in vista di quel momento, sorella morte. Prima ne parlavi e ora la vivi sulla pelle. Ma nel parlarne dicevi che era quello il momento vero del nostro passaggio sulla terra, il momento decisivo della fiducia totale in Dio. Quella che trasporta verso la vita piena, per sempre.
Grazie Carlo di esserci…è solo un arrivederci